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Cattedrale e Chiese



La Cattedrale







L'autorità romana s'interessò, nell'arco del sec. XI, alla costruzione, in Basilicata, di svariate cattedrali, in particolar modo nella zona del Vulture, a Melfi, Rapolla, Venosa e Irsina. I primi segnali della presenza di una chiesa a Melfi risalgono al 1067, come si enuncia da un documento vaticano di Papa Alessandro II. In Basilicata, successivamente alla conquista normanna, seguirono svariate guerre, assedi per l'affermazione del potere e gli edifici religiosi subirono danni consistenti, per tale motivo fu avvertita l'esigenza di costruire una nuova cattedrale, sempre dedicata alla Vergine Maria. La nuova costruzione, dotata di un imponente campanile, progettato da Oslo di Remeiro venne aperta al culto nel 1153 per opera di Re Ruggero II (testimoniata dalla scritta: Hoc opus regium regine coeli comendet, quod ex praecepto et salario invictissimi regis, rogerii et filii eius gloriosissimi regis, wilelmi. Presul rogerius cum fideli populo melphiensi, felici exito consumavit. Anno Domini MCLIII; affianco a tale iscrizione vieni riportato il costruttore: Regi Rogerio noslo remerii fecit hoc. Anno ab incarnatione domini nostri Jesus Christi MCLIII). Venne costruita utilizzando materiale lapideo proveniente da numerose ville romane sparse nella zona. Il campanile presenta base quadrata, altezza di m 56 e un perimetro di 37 m. L'importanza del campanile nella vita sociale del XII secolo di tutto il contado gravitante attorno alla città, è confermata da un documento del 1175, il quale testimonia che la lettura di un terreno viene fatta avendo come campione l'unità di misura effigiata sul campanile della chiesa di Melfi. L'arricchimento all'ultimo piano di una corona di merli ghibellini viene apportato in epoca sveva, ma ad opera di Federico II, scompare dopo il terremoto del 1851.All'ultimo piano è presente inoltre una cella campanaria in cui, fino al secolo scorso, spiccavano campane del XIII sec. (fra cui quella fatta fondere dal vescovo Sinibaldo nel 1289), mentre ora è provvista di tre campane azionate elettricamente e di diversa fattura. Passano i secoli e della chiesa ruggeriana non rimane molto, se non l'impianto di base della costruzione, perchè l'edificio originario subisce continue modifiche e rifacimenti, sia a seguito dei numerosi eventi sismici, sia per adeguarsi ai mutamenti della religiosità stessa. Pertanto della chiesa originale rimane l'impostazione dell'edificio incrociato tra pianta a croce greca e croce latina; si presenta diviso in tre navate e con cappelle minori su entrambi i lati, sporgenti dal corpo quasi a voler costituire altre due navate. Tali cappelle probabilmente vengono aggiunte in un secondo momento, fra il 1300 e il 1500, quando si sviluppa il senso della sepoltura privata e familiare, ma dopo il sisma del 1930 sono state abbattute o murate per motivi di stabilità. Tale operazione porta ad un'accentuazione della pianta a croce latina, perché le cappelle sul lato sinistro sporgevano dal corpo dell'edificio nascondendo i piani più bassi del campanile. Nella vecchia disposizione sul lato sinistro si trovava la cappella della Madonna di Costantinopoli e sul lato destro la cappella della Madonna del Rosario. Delle vecchie cappelle ormai rimane la sola icona della Madonna di Costantinopoli, di derivazione bizantina, patronato della famiglia Bocdam di orgine albanese e insediatasi a Melfi nella metà del XV sec.


Il "chorus ligneo" (coro ligneo) risale al 1557; è stato realizzato da Mastro Giorgio Albanese; si presenta su due file di stalli, è scolpito a rilievo al di sopra del trono vescovile che divide in simmetria l'ordine dei sedili lo stemma gentilizio, sul lato destro spicca una citazione della Prima lettera ai corinzi di San Paolo (Nam is orem lingua, mens autem mea sine fructu. Quid ergo? Orabo spiritu orabo et mente: Psallam spiritu, psallam et mente), mentre sul lato sinistro spicca una citazione del salmo biblico numero 46 (Psallite deo nostro, Psallite. Psallite. Regi nostro psallite. Quoniam Rex omnis terrae Deus. Psallite sapienter).Ogni stallo è separato da braccioli e poggiamani a forma di testa di grifo , il quale animale rappresenta simbolicamente la duplice natura di Cristo (divina e umana). Nella sacrestia venivano tenute delle riunioni convocate dal Capitolo e dai Presbiteri aspiranti all'ammissione (che avveniva a seguito dell'acquisizione di un certo numero di punti che dovevano essere accumulati nell'arco di otto anni), altresì il coro era riservato alle riunioni in cui era presente anche il vescovo. La sacrestia di nuova costruzione, situata affianco del coro ,si presenta rivestita, lungo tutte le pareti, di 26 armadi in noce ( corrispondenti al numeri dei membri del capitolo e della dignità, Cantore, Primicerio, Tesoriere e Vicecantore), i quali in basso presentano tutti una cassapanca. La sequenza degli armadi viene divisa ,sulla parete di fondo, da un grande bancone avente la funzione di sorreggere un grande archivio in cui si conservano tutti i documenti relativi all'attività del Capitolo. Al centro della stanza è inoltre presente un bancone rettangolare atto a conservare tutti gli indumenti e vesti necessarie a svolgere le attività religiose. I lavori continuarono a susseguirsi col passare del tempo, tutti atti a manifestare la sontuosità e l'importanza del luogo , questo fino a quando, alla fine del XVII secolo, il terremoto del 1694 crea enormi danni all'edificio che porteranno, con l'ausilio del vescovo Antonio Spinelli, ad una totale modifica, per adeguarsi ad un'immagine di potere e fastosità relativa ad una spiritualità barocca e alla riforma cattolica. Tali lavori durano un decennio e portano alla realizzazione dell'edificio attuale, il quale del passato conserva il campanile, gli archi in pietra viva del transetto e del tamburo della cupola ottagonale e lo schema laterale delle cappelle gentilizie. La navata centrale riporta un soffitto a cassettoni con intarsi e sbalzi in legno decorato e colorato con "oro chimiento" (una miscela napoletana di piombo e arsenico che creano l'effetto oro).

Il pulpito di legno dorato, che si trova all'ultimo pilastro della navata, presenta: una cuspide sorretta da due angeli; i pannelli di base decorati ai lati da vasi e fiori dorati; al centro la sigla di lettere intrecciate A.S.V.D.M. (Antonio Spinelli vescovo di Melfi) ed una base che porta le sculture lignee dorate dei simboli dei quattro evangelisti ( angelo per Matteo, leone per Marco, aquila per Giovanni, e toro per Luca). Il pittore Andrea Miglionico realizza, agli inizi del 1700, immediatamente al di sotto del soffitto, otto tele di affreschi di storie bibliche; mentre ad un livello ancora inferiore, subito al di sopra dei pilastri, vi sono i ritratti, risalenti a metà del Settecento, dei pontefici che hanno tenuto i concili a Melfi (Nicolò II nel 1059, Alessandro II del 1067, Urbano II nel 1089, Pasquale II del 1101 ed Innocenzo II nel 1173). Nella navata destra si succedevano originariamente , dall'ingresso verso l'altare: la cappella di San Gregorio (ora ufficio parrocchiale); la cappella di San Giovanni Battista ed evangelista (ora battistero); la cappella della Madonna di Nazareth, dove è conservata l'icona bizantina (definita miracolosa a seguito di un inspiegabile guarigione attribuitagli dal vescovo Mondilla Orsini nel 1727); la cappella della Vestizione, dove è presente un trono ligneo filettato in oro, e infine la cappella del Santissimo Sacramento (nata originariamente come cappella dell'Immacolata per via della presenza di una sua statua lignea conservata nella nicchia centrale). All'interno sempre della cappella del Santissimo Sacramento una vergine con ostensorio è affrescata sulla volta, presentante ai piedi una colomba ( simbolo dello Spirito Santo) e sul capo lo stemma del vescovo Spinelli. Si trovano inoltre le tombe di Nicola Maria Gamba, governatore di Melfi dal 1746 al 1748 per conto dei Doria, e di Carlo Luigi Cella, figlio di Francesco Cella, governatore negli anni 1763 – 1768. L'altare di Sant'Alessandro si trova accanto a tale cappella e racchiude il corpo di tale santo in un busto ligneo ed esposto con molte altre reliquie di santi. Il corpo del santo venne portato a Melfi dal vescovo Diodato Scaglia nel 1626. E'nel 1752 che il vescovo Pasquale Teodoro Basta decide di prelevare dalle catacombe di Santa Priscilla in Roma e di portarlo a Melfi, il corpo di San Teodoro che viene inumato in una nicchia scavata nella parte posteriore di un nuovo altare, che saliti quattro gradini e arrivati alla grata vetrosa, permette di vedere il corpo de Santo.

Tale altare delimita, date le sue dimensioni, la parte settentrionale del presbiterio, delimitato da una balaustra marmorea sorretta da colonnine riportanti lo stemma dello Spinelli. All'interno di quest'area sempre lo Spinelli fa costruire il trono episcopale, caratterizzato nella parte superiore da una tiara con delle gemme e presentante il suo stemma scolpito in bassorilievo. E'proprio in questo periodo che il vecchio organo viene sostituito con uno nuovo, caratterizzato da canne azionate manualmente e le cui dimensioni chiudono tutta la prospettiva della navata centrale. Al fine di esaltarne la visione, lo strumento viene ricoperto con stucchi e dorature, riportando al centro lo stemma della famiglia Spinelli. Il soffitto del coro e dell'organo sono stati affrescati sempre dal pittore Miglionico, il quale sviluppa quattro trionfi separati tra loro da figure di angeli: di San Gennaro, patrono del Regno di Napoli; dell'Assunta, cui è dedicata la chiesa; di Sant'Antonio da Padova, di Sant'Alessandro, patrono del paese. Come accennato in precedenza, le cappelle delle famiglie Silvio, Carbonara e Di Stana presenti nella navata sinistra vennero abbattute. Durante de lavori effettuati dal vescovo Camassa nel 1906, nella cappella dei Silvio vennero portati alla luce degli affreschi rappresentanti l'addolorata e San Giovanni Battista, coperta da un affresco di San Francesco realizzato però nel XVII secolo. Nella cappella accanto viene invece ospitato, da Pasqua fino alla Trinità, un crocifisso proveniente dal non più esistente convento di Ognissanti, passato successivamente al convento dei Cappuccini. SI svolge quindi una duplice processione penitenziaria che porta tale crocifisso dalla cattedrale al monte Tabor (o colle dei Cappuccini). La porta laterale, realizzata dal 1349 al 1416 (epoca degli Acciaioli, feudatari di Melfi, testimoniato dal simbolo del giglio in pietra bianca alla base degli stipiti) presenta affisse 2 formelle raffiguranti: quella esterna, un angelo annunciante e reggente un giglio, mentre quella interna la Vergine Annunziata, con un libro e una colomba, entrambi provenienti dall'ormai caduto convento di Sant'Agostino. Entrambe le navate presentano lapidi commemorative di fatti verificatisi fra le mura della cattedrale o di uomini meritevoli; si ricordano: a sinistra le lapidi dei vescovi Giacomo Raimondo ( Aprile 1644, Agosto 1644), Luca Antonio Gatta (1737 – 1747), Pasquale treodoro Basta (1748 – 1765); a destra le lapidi commemorative del lavori fatti dal vescovo Camassa nel 1906, Petroni nel 1938, e la lapide commemorativa del riconoscimento di Basilica Minore alla cattedrale di Melfi nel 1958 da parte di papa Pio XII. Si fa notare inoltre la presenza, all'inizio della navata sinistra, della raffigurazione su tela del martirio di Sant'Alessandro, mentre nella navata destra del martirio di San Bartolomeo. La parte centrale invece è sovrastata da una grande rappresentazione dell'Ultima cena.


Il Palazzo Vescovile

Il vescovo Antonio Spinelli, figura importantissima per quanto riguarda la crescita e ristrutturazione della cattedrale alla fine del XVII, provvede inoltre anche alla ristrutturazione dell'Episcopio, realizzato nel XVI secolo dal vescovo Rufino, portando avanti dei lavori che vengono terminati solo dal successore Basta nel 1756 (come testimoniato dalla lapide situata sull'ingresso principale dell'edificio). I lavori vengono eseguiti dai mastri Agostino Bonacera e Antonio Prezioso, nell'arco di un trentennio e al loro termine viene fuori un maestoso edificio, il cui ingresso principale porticato con due colonne, sostituisce il collegamento murario esistente, prima della ristrutturazione, tra la cattedrale e l'Episcopio. Tale collegamento ora si presenta come un vasto cortile interno che permette, attraverso uno scalone stile barocco, di accedere agli appartamenti vescovili. Una volta salito lo scalone, sul lato sinistro il vescovo Basta fa realizzare degli ambienti di rappresentanza, ossia un grande salone dove si trovano raffigurati , su una cornice corrente tutt'intorno, gli stemmi dei vescovi succedutesi nella cattedrale di Melfi; ciascuno stemma è corredato da un cartiglio contenente notizie sulla figura del presule. A questo grande salone ne segue uno più piccolo in cui sono raffigurati gli stemmi dei vescovi di Rapolla, prima che le due diocesi si unissero: nel 1528, ad opera del vescovo fiorentino Giannotto Pucci. A queste sale ne seguono altre decorate con storie bibliche e figure allegoriche delle virtù cardinali e religiose che sfociano in altri due grandi ambienti: il primo, la cappella privata dei vescovi, realizzata dal vescovo Orsini nel 1725 abbattendo la precedente cappella del vescovo Scaglia, e inaugurata il 10 Agosto dello stesso anno per sancire il legame con la città melfitana che, a San Lorenzo, eleggeva ogni anno il proprio sindaco; il secondo è la sala del trono, realizzata dallo Spinelli (come testimonia una scritta con data 1720) e caratterizzata da intense e pesanti decorazioni di Cariatidi (statue di donne che fungono da colonne) e Telamoni (figure di uomini applicate a sostegno di cornicione) e dalla raffigurazione di un corteo di vescovi, a ricordare tutti quelli succedutisi a Melfi. In questa sala è custodito il trono in legno finemente intarsiato fatto eseguire dallo Spinelli (come testimonia l'aquila decorativa). I lavori richiesero un notevole impegno finanziario della diocesi e dei vescovi del tempo, oltretutto, come testimoniato dai documenti ritrovati, nel 1755 fu necessaria l'autorizzazione dalla Santa Sede (poi concessa) per ottenere un mutuo di circa 10.000 ducati, probabilmente insufficienti considerando che successivamente furono richiesti altri due mutui di 3.000 ducati. Gli esecutori dei lavori furono dai documenti pervenuti, Domenico Bonacera e Nicola Marinario mastri muratori, e i fratelli Felice e Libero Antonio Troisi mastri carpentieri. Negli anni a seguire furono sistemati gli arredi sacri e la dotazione di suppellettili ed utensili necessari alla vita quotidiana, culturale ed intellettuale dei sacerdoti melfitani. Nel 1756 si realizzarono le cisterne per l'approvvigionamento dell'acqua. Nel 1765 fu sistemata nelle nuove sale, la Biblioteca Vescovile, avviata con un fondo librario pervenuto dall'eredità di Pompilio Cerone e che nel 1603 venne incrementata con acquisti fatti presso librai napoletani e romani e con varie donazioni da alcuni chierici. Nel 1778 le collezioni di arredi sacri e degli argenti ( di cui la chiesa è ricca) furono sistemate con la stesura da parte del vescovo De Vicariis di un regolamento per la tutela di tutte le donazioni dei fedeli e degli acquisti che la chiesa aveva fatto in proprio.


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